Per chi ha studiato filosofia al liceo o la studia per diletto, il paradosso di Zenone (in realtà erano quattro, ma ci ricordiamo sempre solo di questo) è una pietra miliare del percorso di studi.
In estrema sintesi: il filosofo ipotizza una gara di velocità tra Achille passo-svelto e una tartaruga, cui il nostro eroe (!) concede un vantaggio iniziale. La tesi è che proprio lui non riuscirà a raggiungere l’avversaria e dovrà prendere atto della sua sconfitta E questo perché, suddividendo ogni tratto percorso da entrambi, nel momento in cui Achille avrà coperto quello fatto dalla tartaruga, questa si ritroverà un po’ più avanti; il margine di vantaggio sarà sempre minore, ma comunque, essendo una linea suddivisibile all’infinito, sarà sempre un po’ più avanti dell’altro.
Ora, senza entrare nel merito della teoria di Zenone e poi i tentativi di smentirlo andati a buon fine solo tre secoli fa con una dimostrazione matematica, quel che mi preme qui raccontare è un “corollario” di questo paradosso applicato all’escursionismo.
Il pretesto mi viene da un fatto accaduto durante un’iniziativa promozionale. Ad un certo punto si è chiesto ai partecipanti di affrontare un tratto del percorso che, dall’impegno fisico basso richiesto fino ad allora, si impennava improvvisamente ad un medio-alto (e qui si aprirebbe un altro articolo sulla sottile perversione che attiene generalmente alle guide ambientali, le quali nel momento della scelta tra il semplice ed il difficile, preferiscono complicarsi la vita…uno dei prossimi capitoli!).
Le risposte a questa richiesta, man mano che procedeva la salita e peggiorava il fondo su cui articolavamo i nostri passi, andavano dal soddisfatto all’interrogativo educato al vivacemente oppositivo fino al rifiuto intransigente.
“Ma davvero mi state chiedendo di fare questo pezzo?! Ma voi siete matti, io lassù non ci arriverò mai!”
Le distanze si allungano…i pensieri si ingrigiscono, le considerazioni si allargano fino a coinvolgere l’univer…
No no, un attimo: riportiamo qui tutto quello che ha preso altre vie, e incanaliamolo su qualcosa di necessario al momento.
Testa leggera, passi piccoli sempre più piccoli, lo sguardo che segue solo l’appoggio dei passi e non si sgomenta a guardare la strada ancora da fare.
Perché la strada per intero è impossibile da percorrere: la si può affrontare solo se la si divide in due, e poi la metà in due, e poi un quarto in due, e poi un ottavo ancora in due…e avanti così, con il tempo necessario a se stesso perché è quello necessario al respiro e al ritmo dei battiti.
L’ultimo piccolissimo passo raggiunge la parte in piano, che presto diventa discesa. Il viso tirato, nel frattempo, ha lasciato il posto a un sorriso disteso.
Attenzione: non sempre le imprese tartarughesche sono consigliate e auspicabili. Una guida ha fra i suoi compiti quello di portare tutti alla fine di un percorso, ma se questo significa compromettere la salute di qualcuno, saprà fermarsi prima!
Ringrazio M.N. per aver stimolato questa riflessione e dedico questo articoletto ad Elena, per aver saputo essere la guida che tutti desidererebbero avere nei momenti critici.